Pro Loco Signa A.P.S.
Cenni storici sull’industria della paglia a Signa

Cenni storici sull’industria della paglia a Signa

Cenni storici sull’industria della paglia a Signa

La coltivazione del grano seminato appositamente e la lavorazione della paglia che se ne ricavava, da intrecciare per farne cappelli, è un’attività con forti tradizioni che si perdono nel tempo, ma che si sviluppò con caratteristiche industriali in Toscana ed in particolare nelle cosiddette Signe a partire dalla prima metà del Settecento grazie a Domenico Michelacci, originario della Romagna Toscana e per questo detto “Bolognino”. Fu proprio nella valle dell’Arno tra Firenze a Pisa, fertile pianura alluvionale, che si stabilirono alcune imprese strettamente connesse all’agricoltura per quanto concerne la produzione delle materie prime e fortemente legate all’andamento della domanda di manufatti  indipendente dalle necessità della popolazione regionale. Piccoli proprietari terrieri cominciarono ad avviare imprese che non richiedevano grandi capitali fissi di investimento ed anche all’interno delle famiglie mezzadrili si ebbero i primi cambiamenti: le donne scoprirono il lavoro a domicilio dedicandosi, a seconda delle varie aree geografiche, all’’intreccio della paglia, alla tessitura e al  lavoro a maglia e all’uncinetto che non necessitavano di particolari attrezzature tecniche e che si potevano esercitare nelle ore libere quando i lavori nei campi erano meno necessari.

Nell’area fiorentina delle Signe, di Sesto, di Fiesole e di Campi la lavorazione della paglia ebbe un ruolo decisivo per il suo sviluppo industriale e la stessa mezzadria, che usualmente inibiva l’industrializzazione della produzione di beni di consumo su basi di fabbrica, fornì la manodopera a domicilio, prevalentemente femminile, senza la quale questa manifattura non avrebbe potuto avere la fortuna che ebbe.

Le trecciaiole potevano così guadagnare quanto era necessario per comprare quello che non si produceva, ma che era indispensabile come il sale arrivando nei casi più fortunati a consentire alle più giovani e capaci di acquisire i mezzi per comprarsi il corredo.

Riguardo a chi abitava nei paesi, l’intreccio della paglia consentì alla popolazione più povera, costituita da coloro i quali vivevano in case in affitto, detti pigionali, senza un specifica formazione professionale e con redditi bassi, quali ad esempio i braccianti, i pescatori di fiume e i barrocciai, di sopravvivere nel proprio paese senza emigrare evitando la disgregazione della comunità locale.

Domenico Michelacci si era trasferito a Signa nel 1714 e dopo quattro anni di prove sperimentali era riuscito a selezionare un tipo di grano che, grazie anche alle caratteristiche fisiche dei terreni dove aveva cominciato a coltivarlo al solo fine di ottenere paglia da intreccio e soprattutto grazie alle tecniche di coltivazione, forniva steli fini, lucenti e particolarmente flessibili.

Nel 1735 impiantò anche un laboratorio per la confezione dei cappelli destinati alla vendita all’estero e nel giro di pochi anni si costituì una vera e propria industria locale che arrivò ad occupare gran parte della popolazione: si stima i tre quarti di quella attiva.

Per oltre 250 anni l’industria della paglia è stata tra le attività principali nelle Signa. Varie sono le figure professionali che ne fecero parte: trecciaiole, fattorini, cappellai oltre l’indotto che si sviluppava attorno: la fabbricazione delle forme di legno e metallo, le falegnamerie per le casse da spedizione, fiori per guarnire, le tintorie.

La stessa Stazione ferroviaria venne potenziata nel 1840 dal granduca Leopoldo II per favorire il trasporto delle casse con cappelli delle tante imprese delle Signe. Grandi opifici della paglia si concentrarono nella zona signese denominata La Costa resa sicura dalle esondazioni di Arno e Bisenzio dalle opere di regimentazione delle acque e la costruzione di nuovi argini. Divenne così quell’industria la principale tra le attività produttive e manifatturiere del Granducato di Toscana impegnando un terzo della sua superficie coltivabile e circa 150.000 addetti remunerati. Nella seconda decade del Novecento si giunse alla produzione annuale di trentacinque milioni di cappelli, per lo più da uomo, esportati in gran parte negli Stati Uniti d’America.