Pro Loco Signa A.P.S.
SIGILLO DEL COMUNE DI SIGNA

SIGILLO DEL COMUNE DI SIGNA

Sigillo del Comune di Signa

S I G I L L O XIV

S I G I L L U M  COMUNIS DE SIGNA

A P P R E S S O   A L   G O N F A L O N I E RE

p r o t e m p o r e

D E L L A    C O M U N I T À   D I   SIGNA

S O M M A R I O

I .     Si ragiona della Terra di Signa; e principalmente del Ponte a Signache presentemente si vede.

II     Si parla del Ponte anticoche fu distrutto, e dell’incendio di essa Terra.

I I I . Si riprova un asserto, seguitato da molti altri Storici intorno al declive d’Arno da Firenze alla

Golfolina, col parere di un molto intendente Professore de nostri tempi.

O S S E R V A Z I O N I I S T O R I G H E SOPRA IL SIGILLO XIV

Non senza ragione abbiamo noi altra volta asserito, lo studio, che si fa sopra gli antichi Sigilli  arrecare di gran lumi all’Istoria. Imperciocché, o essi ci somministrano notizie nuove e alla nostra cognizione pellegrine, o confermano con una certezza, per dir così, infallibile ciò, che d’altronde restava non in tutta la sua fede presso i posteri.

  1. Io ragionando ora sopra il presente Sigillo, mi farò intanto dal considerare la struttura del Ponte, impresa del Comune di Signa, prendendo per un tal quale auspicio delle mie osservazioni  il Gamurrini laddove egli ragiona della Famiglia de’ Pandolfini, e segnatamente ove egli Signa va descrivendo quanto al materiale (che pel formale egli nota), che ella si governò all’uso della Repubblica Romana con due Consoli , e perseverò in tal governo fino dei 1253, secondo che egli stesso dimostra;  e che fu illustre per abitatori ben chiari.  Il Castello (dic’ egli) o T e r r a, che ella si sia di Signa, è posta sopra un rilevato colle, distante non più di 7 miglia dalla Città di Fiorenza: le di cui radici vengono bagnate dall’acque d’ Arno sulla foce del fiume Bisenzio. Il recinto del Castello non è di notabile grandezza, ma circondato da forti muraglie, e spesse torri. Dentro alle mura, oltre alla Chiesa, ed altri edifici, è ripieno di torri antichissime, come che ne siano state molte odiernamente disfatte; le quali accompagnate alla fecondità de’ campi, e dalla salubrità  dell’ aria, ci danno manifesto indizio, essere state già dapotenti, e chiari uomini abitate . Oltre a ciò (e qui viene al caso nostro ) ha fra le sue appartenenze un fortissimo ed utilissimo Ponte sul fiume d’ A r n o , già corredato per sua difesa da una eminente Torre di là dal fiume, la quale è presentemente incorporata in un Palazzo della presente Famiglia Pandolfini.

Da che tempo in qua esista il presente Ponte nel Sigillo  effigiato, ben lo abbiamo da Giovanni Villani , che dopo aver detto, che Castruccio battè in Signa moneta picciola  coll’ impronta dell’Imperatore Ottone, appellatasi Castruccini, edopo aver parlato del tagliamento del Ponte seguito per opera di Castruccio – nel Lib, X. Cap. V – dice

in questa guisa . Nel detto anno 1326. addì 14 del mese  Settembre, i fiorentini veggendo, che ‘I Duca  loro Signore non era acconcio a fare oste, nè cavalcata contro Castruccio Signore di Lucca, in quell’anno, sì ordinarono di riporre, e afforzare Signa, e Gangalandi, acciocchè piano e contado da quella parte si potesse lavorare.

E Signa fu murata di belle mura, e con alte, e belle Torr i , e forti , de  danari del Comune di Firenze  e fu fatta  immunità, e grazia a quale Terrazzano vi rifacesse Casa.

Quindi è , che io leggo nel Cod. VV. in f. della celebre Strozzina in uno Spoglio di un Libro delle Riformagioni dell’ anno 1326: “ Pecunia exigatur occasìone conflruttionis eperfetlìonis Castrì de Signa, e prò complendo muros e fossos dìcti Castri”.

La spesa poilabbiamo nel Cod.EE. in f. della medesima Libreria, per altro ricordo tratto dal Sen. Carlo Strozzi da’ Libri delle Riformagioni, ed è : Dominus Martina va

Nachus de Septimo Cameranius , Officialis per Ducalem Excelìentiam deputatutus super expendendis in fortificatione, e munitione Castri de Signa e in ìaboreriis, e fòrtiliis  dicti Castri cuius officium  sunipsit initium die 9. Octobris 1326 e  duravit usquo ad diem vigesumam quintam mensis Augusti 1327. Expendit  ss. 8903.s: 17. & d 9.”

Perciocchè io vado immaginando, che allora sii facessero due cose, che nel Sigillo si ravvisavano. Primieramente l’aggiungerei nell’impresa della Comunità di Signa il campo pieno di gigli d’ oro in azzurro, comecché  fussero essi l’Arme della Casa di Angiò, della quale era Carlo Duca d Calabria , il quale nel ‘25 di Luglio di quell’ anno stesso 1326venne a Firenze, ove per certo tempo sfece fare Signore, di che Antonio Pucci così cantò:

Al Duca di Calabria per dieci anni

Dieder la Signoria senza dimora :

E questo fer fuggendo maggior danni.

In secondo luogo, che i Fiorentini nell’insegna di Signa incominciassero a porre il loro Giglio rosso, che è quello, che sopra la Torre smira.

Il che poi la Torre , che dimostra il Sigillo, sia quella eminente Torre di là dal fiume, incorporata in un palazzo della presente Famiglia Pandolfina, come dice Eugenio Gamurrini  su detto, io non so . Per poco sospetterei , che fosse anzi una Torre posta già, ove sono presentemente alcune stanze della Dogana , stata dipoi, secondo che mi vie ne asserito, scapezzata. Comunque sia, per i’ innanzi questa non si vedeva, per quanto io ritraggo da un’altra impresa di Signa più antica , cioè quella , che vi si faceva l’ anno 1266.  Questa, di cui ora parlo, ho io veduta in disegno, mercè la cortesia del Sig. Alessandro Avvisi moderno Priore di S. Maria in Castello di Signa, ed imitatore della diligenza di alquanti suoi predecessori nel raccogliere le memorie della sua Chiesa. Egli adunque me ne ha comunicato il disegno. Esiste in una campana della stessa  Chiesa, gettata, secondo la memoria, che porta seco l’anno 1266. e poiché ivi anche il Ponte a Signa si vede vario., e dà a conoscere di quale struttura veramente ho io vaghezza di qui riportarlo..

Questo dunque è quel Ponte che addì 28.di Febbraio 1325 allo stile Fiorentino nella famosa distruzionequesta Terra di Signa fu per politici fini da Castruccio Castracani rovinato. Nelle historie Pistoiesi della vecchia edizione si legge a car. 87 “ Stette Castruccio  e la  gente nel Castello di Signa più di due mesi , e in  quel tempo andarono ardendo quante case , palazzi e fortezze, e ville avea del Castello di Signa fin a S. Casciano.”

Ma piene sono tutte le historie di quei tempi della narrazione di cosi guastamento del Castello siccome le Vite che di Castruccio da più Scrittoci sono state distese. Soprattutto, è chiarissima la ricordanza che ne lasciò Giovanni Villani, il quale di esso Castrucccio parlando, dice  Lib. I X . Cap. CCCXXXV. Addì 28 di Febbraio  ricolta sua gente, fece arder Signa, e tagliare il Ponte sopra l’ Arno, e abbandonò la Terra , e ridussesi a Carmignano, e quello fece crescere e afforzare e riducere alla guardia de ‘Ribelli’ di Firenze e  di Signa, e di tutta la contrada. La cagione perché   abbandonò Signa, si disse, perchè era di gran costo a mantenerla, e di gran  rischio , quando i Fiorentini fossono stati valorosi, essendo così dipresso alla Città; e sentendo come il Duca s’ apparecchiava di mandar gente a Firenze, temendo, che la gente, che tenea Signa,  non fosse sorpresa . Ma bene ebbe tanto ardire Castruccio , e tanto gran cuore, che stando in Signa cercò con  grandi Maestri se si potesse alzare con mura il corso del fiume d’ Arno allo stretto della pietra Golfolina per fare allagare i Fiorentini ; ma trovarono i Maestri, che ‘l calo d ‘ Arno da Fiorenza infin laggiù era 150 braccia, e però lasciò di fare tale impresa.

Di questa distruzione di Signa , e della sua edificazione nuova esisteva non molti anni sono in Signa pure una memoria in pietra sopra quella porta del Castello, che conduce alla Pieve; ma perchè  in oggi non vi si vede, tolta via nello scapezzare la torre minacciante rovina,  mi giova il riportare la medesima qui copiata

Puntualmente al possibile, acciocché il tempo non sia valevole a farla venir meno. Sono stato favorito di copia, come ella appunto stava, tratta da un calco fatto sopra di essa, dall’eruditissimo Sig. Giò Maria Luchini Piovano di quella Pieve, non meno posseditore di rare cognizioni, e di scienza, di quel che è sia di gentilezza adornato, il quale avvisa, che essa Inscrizione si conserva in oggi, dopo aver più volte mutato luogo, nella Canonica di essa Pieve , e già era accompagnata da uno feudo seminato di Giglio conforme è il campo di sopra del nostro Sigillo in cui a dir vero si veggiono malamente espressi ; e come sono in altro  Sigillo simile ai nostro nella Sigillatura di una lettera antica originale del Comune di Signa, che si conserva nella famosa Libreria del Sig. Carlo Tommaso Strozzi.

Se mai si può portare un esempio ad evidenza de errori dello scalpello,  io credo certamente, che sia presente Inscrizione, in cui l’ignoranza dello artefice, intendente dello innanzi datogli dallo Scrittore, nel cangiare lettere in altre, fece degli spropositi lapidari l’ultime prove. Per l’intelligenza adunque di essa opportuno è lo spiegarla.

Anno Domini MCCCKXVL die Martis Terra de Signa

desrutta fuit per Castruccium  e Gibehinos de Signa, e sub

sequentj anno readificata fuit mandato illustris Prìncipis

Domini nostri Caroli Hierusaleni  e Sicilia Regis primogeniti

Ducis Calabria aceius Vicarii Generalis, e Domini Fiorentia

per egregium Militem Dominum Federicum de Troesio expensis

Florentinorum.

Confesso il vero, che mi è stato molto difficile il trovare chi fosse questo Cavaliere; imperciocché Giovanni Villani , che ci potrebbe dare tutti i lumi, se la passa con nominare diversi altri Signori, che vennero a Firenze il dì 25 di Luglio di quest’anno 1326con Carlo Duca di Calabria. Dell’ averlo io ritrovato, ne son grato a Giò Antonio Summonte, che nella seconda Parte dell’Historia di Napoli non contento di riferir quelli, che il Villani, ed Angelo di Costanzo nominatamente ritrovarono si prese la briga di cercare i Registri di quell’ Archivio, e di scegliere fra ben molti altri Cavalieri, che sportarono a Firenze col Duca, i nomi, che egli potette arrivare a intendere, siccome egli siprotesta. Tra questi adunque evvi Federigo di Turgisìo, che èverosimilmente  il nostro Federigo, di cui Dio sa se esiste altra memoria in questo paese, che nell’ inscrizione di Signa. Se però esso Federigo nell’Inscrizione fosse detto così per essere forse di Troyes in Sciampagna, che i nostri antichi scrivevano Trois , come nell’ Historia di Buonaccorso Pitti lascio, che altri lo giudichi. Dirò bensì, che altra umile inscrizione a questa riportata, esiste sopra la Porta del Castello di Signa dalla parte di Ponente, che ha un numero di spropositi quanto la sopraddetta; ed un’altra esiste pure sulla Porta del Castello medesimo a Mezzogiorno molto maltrattata dall’intemperie.

III.       Ma tornando dopo lunga disgressione al proposito primiero, per quello, che riguarda. le ultime parole del passo  poc’anzi addotto del Villani confesso il vero, che io sono entrato più volte in sospetto , che vi sia stato errore, di stampa, o di copia in quel, che esso dice che trovarono i maestri, che il calo d’Arno da Firenze infin laggiù  è a di 150braccia; non sapendo persuadermi nè così gran declive, e nemmeno, che si trovassero allora maestri così inesperti, che questo sapessero, e tenessero per lo senno; o sivvero, che uomo tale fosse Castruccio da essere in ciò così in di grosso ingannato.  Voglio credere, che esso, Castruccio si rivolgesse per la mente la fama, che fino allora era. del famoso taglio già alla Golfolina seguito, ricordato poscia da più Scrittori , fra i quali l’Historia Fiorentina da Bartolommeo Scala, dicendo Lib. I .

“Ad Signam quoque via. Pisana id Oppidum est, ubicem Arno fiumini fuisse quidam tradunt, Golfolinam vocant, ubi Scapellis e multa vi disfratius lapis, depressiorem alveum flumini fecit, qui antea cum fluxum impedirct aquarum, multum spazii, ut in plano loco reddiderat paludem, Quod e Livius videtur attesiari, cum maturantem Romam Hannibalem propìorem viam, per paludem petisse scribitr, qua fluvius Arnus per eos dies solito, magis inundaverat »,

Ma non so persuadermi che  Castruccio si rendesse credulo di così grande altezza allora. Quindi il far io ricorso. agli ottimi Testi di Giovanni Villani, già del Davanzati, e Salvini in oggi due belli ornamenti della Libreria Sig. Canonico Marchese Gabbriello Riccardi, fu una delle prime diligenze: e l’aver io trovato questo, passo in essi uniforme, non bastò  a togliere il mio sospetto ; ben sapendo a prova, come vada nelle copie e ricopie il fatto de’ numeri  che di tante variazioni, ed errori oscurano la nostra Historia, che nulla più.  lo, che lo spero in luogo più di questo opportuno di far toccare con mano. E ben potrebbe, un dì trovarsi forse qualche, antica, copia del Villani, che ponesse CL braccia, cioè : circa cinquanta braccia, che sarebbe uno sbaglio da farne minore strepito . Del resto, siccome bisogna molto concedere alla rozzezza de’ tempi, così nullameno conviene molto dubitare degli sbagli de ‘ copisti.  Piero Buoninsegni seguì il  V i l l a n i , ed il medesimo sproposito di lui lasciò scritto.

L’Ammirato fece altrettanto . Io non parlo del Gamurrini uomo alquanto credulo in quel che riguarda l’Historia che seguì anch’egli  tutti gli altri nella misura delle 150 braccia. Più accorto di loro veggio , che fu Aldo Manuzio dottissimo, decoro della Cattedra, ch’egli esercitò nell’ Università Pisana. Imperciocché esso nella Vita di Castruccio Castracani così lasciò scritto. “ Non mancando prima col parere di periti di vedere, se con muraglia poteva alzare il corso del fiume Arno allo stretto della Golfolina, per fare allagare tutto il paese per fino a Fiorenza : e ritrovando la caduta grande, fu forza addì 28 del  detto Mese fare ardere, e tagliare il Ponte sopra il fiume, e abbandonarlo.

Chi però si fece ad emendare questo passo di Giò Villani e de’ seguaci suoi, incorse in un altro grosso fallo, come avvenne all’ Autore della Prefazione della Raccolta degli Scrittori dell’ Acque , il quale va asserendo, che se avessero i Maestri ben misurato, trovato avrebbero , che il declive d’ Arno, non era se non la trentesima parte di guanto essi ritrovarono.

Io però, che sapeva benissimo, come non molto tempo fa venne ricercato il Sig. Angiol Maria Mascagni degnissimo Ingegnere delle Possessìoni di S. A. R. di Toscana e dell’Ufizio della Parte della Città di Firenze, intorno a questo punto del declive d’Arno alla Golfolina, ho procurato di venir favorito della sua opinione sopra dì ciò  inscritto , ed è l’appresso da lui stesso con altrettanta erudizione, e naturalezza posta in carta, con quanta diligenza l’aveva dentro di se ponderata, e stabilita.

OSSERVAZIONI

Risposta al quesito fatto di quanto declive il letto

D’ Arno da Firenze alla GoIfolina.

Veramente non m’è  noto, che vi siano riscontri certi, ed autorevoli, di quanto penda il letto d’Arno da Firenze alla Golfolina. Potrebbe essere, che a rifrustare le vecchie Filze di Rapporti dell’Ufizio della Parte, qualche notizia se ne rintraccierebbe. Dall’altro canto poi io fo riflessione, che se in alcun tempo fusse stato determinato cotesto declive, o qualche ricordo ne sarebbe stato preso , o qualche menzione ne sarebbe stata fatta in alcuna delle tante Relazioni, e Scritture uscite fuori dacché fu intrapreso l’addirizzamento dell’ alveodi detto Fiume in quella parte, ed in altre  occorrenze ancora. Nè il Sig. Senatore Giò Batista Nelli già Provveditore della Parte avrebbe fatte le diligenze che egli fece, come ben mi ricordo, per averne qualche lume: anzi pure avrebbe per avventura risparmiata la livellazione, che poscia d’ ordine suo ne fu fatta da un Perito di quell’Uffizìo , Di questa livellazione però non soqual capitale ne fosse fatto, e dubiterei molto della sua giustezza, per varie ragioni, che qui è superfluo l’allegare.

Ma per discendere un poco più al particolare sarà noto quel passo della Storia di Gio Villani registrato colà al Capo 335 del Libro 9 dove lo Scrittore parlando dei disegni, che macchinava contro ai Fiorentini Castruccio Castracani, segue così a dire : “Bene ebbe tanto ardire (l’istesso Castruccio ) e tanto gran cuore  che stando in Signa, cercò con grandi maestri , se si potesse alzare con mura il corso del Fiume d’ Arno allo stretto della pietra Golfolina per fare allagare i Fiorentini. Ma trovarono i maestri, che ‘l calo d’ Arno da Fiorenza in fin laggiù era 150 braccia pero lasciò di fare tale ìmpresa.”

Questo passo è riportato nella Prefazione della Raccolta degli Scrittori delle acque, stampata in Firenze  nel 1723 dove l’Autore esaminando criticamente cotal fatto, riprende i Maestri di Castruccio , con far riflessione, che se questi avesse eseguita una tale impresa,

grave affanno , e danno avrebbe cagionato a’ Fiorentini suoi nemici e se avessero i Maestri ben misurato , e trovato che il calo del declive d’ Arno non era, se non la trentesìma parte di quanto essi ritrovarono vale adire 5 braccia”.

Ora, con buona pace di questo per altro eruditissimo Scrittore, io penso, che tanto strabalzassero nel più iPeriti di Castruccio , quanto ha egli strabalzato nel meno colla sua critica (ed avvertasi, che non parlo di quest’eccesso, e difetto strettamente, ed in rigore geometrico, ma bensì latamente, e per un certo modo di dire) imperocché a far un conto così all’ingrosso, egli  è certo  che da Firenze a Signa vi sono quattro edifizi di Mulina, per uso de’ quali si prende l’acqua con  un canale a parte dal Fiume Arno alla Pescaia , o Chiusa dell’Uccello, situata dentro Firenze e dopo di averla fatta passare da un Edifizio all’altro, si rifiata poi nel letto del fiume Bisenzio, e per esso ritorna in Arno medesimo poco sopra al Ponte a Signa.

Il primo di questi Mulini è quello della Porticciuolacontiguo all’istesse mura della Città. Le sue macine  girano per via di ruote, che vuol dire, che da’ battifogli delle loro bocchette fino al piano , ofondo dei  carcerai, non vi sarà meno di due braccia di caduta.

Il secondo è quello chiamato del Barco, distante  circa un miglio e mezzo da Firenze. Le sue macine girano parte per via di ruote , e parte per via di ritrecini. La caduta, che si ricerca

d’ordinario per dare il conveniente movimento a questi fecondi ordigni, suole essere intorno a cinque braccia dal battifoglio della bocchetta fino alle pale, o cucchiaie delritrecine; ma ponghiamo, che in quell’ edificio ella sia solamente di braccia tre e mezzo, o veramente di quattro per arrivare al piano , o fondo del carceraio  perchè tali ordigni quivi non servono che per macinare i tabacchi dell’Appalto; al qual effetto non sembra, che si ricerchi un moto così veloce, come si richiederebbe per macinare il grano, o altre biade.

Il terzo è quello di Petriolo, lontano circa a due miglia e mezzo da Firenze . Anco le macine di questo edifizio girano parte a ruota, e parte a ritrecine . Ma perchè sento, che i secondi malagevolmente, e quasi a rilento adempiano il loro ufizio, perciò ponghiamo , che ivi pure v i sia l’istessa caduta di braccia 4 fino al piano de’ carcerai.

Il quarto finalmente è quello di S. Mauro a Signa detto più comunemente S. Moro, lontano da Firenze intorno a sei miglia, e dall’inferior Ponte a Signa un grosso miglio. Quest’ Edifizio è tutto a ritrecini, il moto de’ quali è assai vigoroso ; onde senza notabile sbaglio può stimarsi la loro caduta, di braccia 5 o di braccia 5  e mezzo fino al fondo de’ carcerai.

La somma dunque di tutte  e quattro le cadute sopraddette raccolte insieme dai battifogli delle bocchette fino al fondo de’ carcerai , sarebbe di braccia 3, e mezzo. Vi è poi da mettere in conto la pendenza del  canale dell’acqua da un mulino all’ altro, che a valutarla non più di mezzo braccio per miglio, darebbe sei miglia, altre braccia 3 di caduta. Devesi aggiungere ancora la pendenza per il letto di Bisenzio dall’ ultimo mulino dì S. Moro fino al Ponte a Signa , che è una distanza di un buon miglio, ma forse ancora di un buon miglio e-un quarto; e finalmente l’altra pendenza da esso Ponte fino alla Golfolìna, lunghezza non minori di  un altro miglio e mezzo. La prima di queste due cadute, crederei, che si potesse saltare in braccia tre per il motivo, che accennerò più sotto ; e la seconda in braccia  4 e mezzo. Tutte le quali misurecostituirebbero la caduta totale da Firenze alla Golfolina di braccia 6 salvo.

Infatti mi diceva un giorno , parlando incidentemente di questo declive, il Sig. Felice Innocenzio Ramponi Ingegnere di consumata esperienza dell’ Ufizio della Parte e Ministro de’ lavori d’Arno sotto Firenze che frequentando egli, da giovane lo studio dei Matematico Vincenzio Viviani, si ricordava benissimo di aver più volte udito dire a quell’ insigne Professore , ed aver ancora letto in alcuni ricordi del medesimo che la caduta da Firenze al Ponte a Signa era di circa braccia 2,2. e veniva sempre ragguagliata nelle calcolazioni alla ragione di braccia 3 per miglio. Per questo motivo determinai poco sopra in braccia 3 il declive da S. Moro al Ponte a Signa , ed in braccia 4e mezzo l’altro residuo declive da esso Ponte alla Golfolina.

Da questo calcolo fatto, come suol dirsi, fu le dita, io non pretendo di cavare altra conseguenza, che autenticare lo sbaglio, preso dall’ Autore della Prefazione, nel tassare, come ha fatto in braccia 5 tutta la pendenza da Firenze alla Golfolina. Ne crederei di fallire  se dicessi, che egli si possa essere ingannato su la Tavola, o Canone, che si trova inserito nel Trattato del livellare di Mons. Piccart della Accademia Reale delle Scienze. Io dico questo, perchè so, che altre Persone, le quali si fanno intendenti di somiglianti materie, sono  inciampate in quest’ istesso errore. Mons. Piccart avendo considerato , che la linea, o raggio visuale tirata per l’istrumento da livellare , fra due termini, non è che una tangente della superficie sferica della Terra  che si parte dal primo di essi due termini, e va verso il secondo; e che questa tangente non è il vero livello, ma tale, che più si discosta da esso, quanto maggiore è la distanza fra la distanza detti due termini: inventò giudiziosamente una tariffa, per la quale, a misura di tali distanze, mostrò quanto detrarsi doveva nelle livellazioni fatte con gl’ istrumenti alle cadute, che si trovano per mezzo del raggio visuale, o sia del livello apparente , per ridarla al vero livello . Questa Tavola nella traduzione fatta del Trattato dal Firenze è stata ridotta a pertiche, ed a braccia Fiorentine. Io dubito grandemente, che l’Autore della Prefazione, avuta la notizia della caduta d’ Arno, comunque essa fosse ritrovata da Firenze alla Golfolina volendo seguitare il metodo di Mons. Piccart, defalcasse alla suddetta totale caduta quel tanto, che portava la regola della tariffa; e perciò cadesse nell’ esorbitanza, che si è accennata sopra.

Il metodo di quel valente uomo è vero , certo è dimostrativo, ma egli è altresì in modo particolare ordinato per quegl’ istrumenti , qual’ è il suo descritto nell’istessa Operetta, col mezzo de’ quali, atteso l’aiuto  dei cannocchiali, si arriva a poter fare in una sola tirata,  o come altri dicono battuta, una livellazione di più miglia ; nel qual caso la tangente, o sia il raggio visuale si discosta notabilmente dal punto del vero livello, e la differenza è molto grande.  Ma ove si adoprino altri  strumenti, senza cannocchiale, perocché allora le battute fra un termine, e l’altro sono regolarmente di 50 o al più di 60  pertiche, le tangenti, o raggi visuali, che si mutano in ciaschedun punto, o termine de’ predetti intervalli, riescono così corte, che non fanno differenza sensibile dal punto del vero livello. E se mai si dicesse potersi dar il caso , che chi diede all’ Autore  la notizia del declive sopraddetto , l’ avrà forse rintracciato coll’ istrumento a cannocchiali; replicherò, che dato ancora, che fosse stato possibile il livellare con esso in una sola battuta o due, il letto d’Arno da Firenze alla Golfolina, la ritrovata caduta sarebbe assai  ricresciuta; talché fattasi poi la debita tara, sarebbe restata al netto quell’ istessa, o poco diversa, che sottosopra ci darebbero gli altri strumenti di minor portata, senza la detta tara. Ma ciò consegue, perchè la caduta al netto, che ci verrebbe dall’ uso del supposto istrumento è di sole braccia 5 dove quella , che si deduce  dall’evidenza del fatto, e si può dire ancora dagli altri, è molto maggiore. Dunque nemmeno è vero ciò , che si supponeva in prò dell’ Autore sopraccitato.

Tanto posso replicare al proposto quesito nell’ angustia del tempo, che mi vien concesso alla risposta, rimettendomi sempre ad ogni miglior giudizio.

Angiol Maria Mascagni Ingegnere.

Dopo essere stato stampato fin qui, non avendo fatto fine di favorirmi la gentile innata diligenza, e premura de’ due soprallodati Ecclesiastici di Signa, mi son veduto comparire ritratte con sommo incomodo le altre due Inscrizioni, che io sapeva essere logorate quale più, quale meno dal tempo, appese alle mura del Castello. Quindi è, che io defrauderei il pubblico di un acquisto perenne di cosa, che altramente di giorno in giorno vien meno, e renderei frustranea la fatica durata , se io almeno di due la più varia non pubblicassi in qualche forma colla stampa, quantunque non porti il pregio dell’ opera di farla intagliare ne’ suoi veri caratteri : imperciocché un certo barlume d’ indizione vi si scorge, ed eziandio una lezione non di DIE MARTIS, come in quella di sopra, ma bensì forse di MARTII. E ben potrebbe qui aver voluto dire lo Scrittore malamente obbedito dallo scarpellino IND.VIII KALENDIS  MARTII ; poiché sebbene pone il Villani per lo giorno fatale il dì 28 d i Febbraio, non si poteva fare tutto il guasto in un giorno. A me però dee servire di averla riportata qualmente mostra, che dica Ella è situata dalla parte di Mezzogiorno.

A . D. M C C C X …. V I I N D V I V I

D E N I S . M A R T I I . E R A D E S IG

. . . . . D E S T R V C T A  F V I T  P E R

C A S T R V C G I V 7 G I B . . . . I N OS

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R E H E . . . . . C A T A . F ………………,

M A N N A T O   I L L V S . . . .

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